Giuseppe e Maria, “portarono il bambino (Gesù) a Gerusalemme per presentarlo al Signore”
Sorprende e meraviglia che Giuseppe e Maria abbiano la sollecitudine di presentare il loro figlio al tempio a Gerusalemme per un rito di offerta e di donazione a Dio, dopo tante fatiche del viaggio di oltre cento chilometri, dopo il parto e la nascita del figlio in un ambiente disagevole .
E’ vero che erano credenti, che avevano visto realizzarsi fedelmente le promesse di Dio, seppur in un modo imprevedibile; avevano ricevuto la festa degli Angeli, ma la stanchezza è la stanchezza. Eppure Giuseppe e Maria sembrano non essere troppo turbati e hanno il vigore di rimettersi presto in cammino per essere fedeli alle leggi.
Avevano nel cuore un amore “caldo” per Dio, un amore affettivo.
L’amore al Signore rende solleciti.
Aver un “amore caldo, affettuoso” per Dio. Pensiamo alla formulazione del grande comandamento, che sostiene tutti gli altri: «Amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le forze» (Dt 6,5; cfr Mt 22,37).
“Amerai!!!” La formula usa il linguaggio intensivo dell’amore, riversandolo in Dio. Se “ameremo” il Signore potremo giungere alla serenità attiva, anche pur in mezzo a fatiche e sofferenze.
E’ bello e appagante essere amati e amare
E questo vale innanzitutto e soprattutto per Dio. Dio ci ama per primo, sempre, con amore delicato e appassionato. Sì! Dio, proprio Lui!
Allora ci sentiamo sereni, e anche un po’ confusi, perché Lui ci pensa e soprattutto ci ama! Non è impressionante questo? Non è impressionante che Dio ci accarezzi con amore di padre? E’ tanto bello!
Riusciamo a pensare Dio come la carezza che ci tiene in vita, prima della quale non c’è nulla? Una carezza dalla quale niente, neppure la morte, ci può distaccare?
Non è così che avviene in famiglia quando si è sereni ? Si è amati e si ama. Così si diventa “grandi”, cioè maturi.
Dio è il Padre che dà l’esempio e la forza dell’amore donato, accolto e ridonato.
L’affetto a Dio è come un fuoco e una luce che tutto riscalda e illumina
Il parlare di Dio che ci ama è verità. Ed è giusto che ci commuova, stupisca intenerisca! E’ giusto e bello quando le mamme insegnano ai figli piccoli a mandare un bacio a Gesù o alla Madonna. Quanta tenerezza c’è in questo! In quel momento il cuore dei bambini si trasforma in luogo di preghiera. Ed è un dono dello Spirito Santo. Lo Spirito di Dio ha quel suo modo speciale di dire nei nostri cuori “Abbà” – “Padre”, ci insegna a dire “Padre” proprio come lo diceva Gesù, un modo che non potremmo mai trovarci da soli (cfr Gal 4,6).
Questo dono dello Spirito è in famiglia che si impara a chiederlo e ad apprezzarlo.
Se impariamo a conoscere Dio che ci ama e ad amarlo con la stessa spontaneità con la quale un bambino impara a dire “papà” e “mamma”, allora l’abbiamo imparato per sempre.
L’affetto per Dio accende il fuoco della preghiera che illumina e riscalda il tempo.
Il tempo della famiglia è sempre poco, non basta mai, ci sono tante cose da fare, ma un cuore abitato dall’affetto per Dio cerca spontaneamente il tempo della preghiera in famiglia.
Fa’ diventare preghiera anche un pensiero senza parole, o un’invocazione davanti a un’immagine sacra, o un bacio mandato verso la chiesa.
La preghiera riconsegna il tempo a Dio e ci fa uscire dalla ossessione di una vita alla quale manca sempre il tempo, ci fa ritrovare la pace delle cose necessarie.
Nella preghiera della famiglia, nei suoi momenti forti e nei suoi passaggi difficili, siamo affidati gli uni agli altri, perché ognuno di noi in famiglia sia custodito dall’amore di Dio. La mattina e la sera, e quando ci mettiamo a tavola, impariamo a dire assieme una preghiera, con molta semplicità: è Gesù che viene tra noi: “Ove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono con loro.”
I Sacerdoti della Comunità pastorale in Parabiago